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  • : Notizie dall'Italia
  • : Storie, fatti e commenti a cura di Antonio Montanari Agg. 24.12.2021
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24 janvier 2010 7 24 /01 /janvier /2010 14:51
Non sono l'unico pessimista in giro

Silenzio_stampa


Temevo di essere l'unico pessimista in giro. Ho scritto qui il 20 gennaio che l'immagine dell'Italia di questi giorni poteva essere riassunta in quella di un Paese che sta indifferente alla finestra ritenendosi il migliore di tutti.

Non sono l'unico pessimista in giro. Gian Enrico Rusconi il 22 gennaio ha composto sulla "Stampa" un'allegoria sulla vita politica italiana con l'immagine del teatro. Il pubblico della sala "da qualche tempo ormai sta a guardare perplesso, diffidente, distratto".

Oggi sullo stesso quotidiano, Barbara Spinelli osserva che "la memoria in Italia rischiara poco il passato e per nulla il presente". Rispetto alla storia, aggiunge "parecchi politici e giornalisti hanno uno strano atteggiamento" che li porta a credersi in grado di "dirla in prima persona" quella storia.

E' quello che succede quando la finestra da cui guardano, quei giornalisti e politici la scambiano per un balcone dal quale inviare proclami.
Barbara Spinelli cita il recente caso di Augusto Minzolini, direttore del Tg1, che appunto nella sua veste di "dettatore" di verità, come l'ho definito il 14 gennaio, ha sentenziato che, alle vicende di Craxi, è giunto il momento di guardare "con gli occhi della storia".

L'indifferenza di chi sta alla finestra si contrappone all'attivismo frenetico di Berlusconi che, per usare parole di Barbara Spinelli, censura "tanta parte del passato" per ricavarne qualcosa nella "sua offensiva contro la giustizia".

Se chi sale sul balcone troppo arditamente rischia di esserne gettato, chi si nasconde dietro le finestre può prendersele in faccia se poi si alza un venticello di cambiamento.

[24.01.2010, anno V, post n. 30 (1121), © by Antonio Montanari 2010. Mail.]

Divieto di sosta. Antonio Montanari. blog.lastampa.it
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21 janvier 2010 4 21 /01 /janvier /2010 16:48
"Rimini peggio di Rosarno". E noi abbiamo avuto il mistero della "Uno bianca"

Rosarno


"Rimini peggio di Rosarno", diceva la "civetta" del "Carlino" del 19 gennaio, alludendo alle statistiche del lavoro nero. Sono parole che possono alimentare atteggiamenti razzisti dei quali non sentiamo la mancanza. Giriamo lo sguardo alla cronaca recente o remota del Sud e del Nord. Sono fatti uniti da un odio avvolto in misteriose trame.

Il 18 settembre 2008, a Castel Volturno sei extracomunitari sono assassinati dal gruppo di un "superkiller". Umberto Bossi dice: "Li avranno fatti fuori perché si sono messi a spacciare per conto loro, e la camorra vera non lo permette". Osserva Conchita Sannino sull'edizione napoletana di "Repubblica": "Erano invece lavoratori e incensurati, alcuni sfruttati, e morirono per mano della follia stragista di casalesi".

Barbara Spinelli sulla "Stampa" (10 gennaio) ricorda l'episodio aggiungendo: nel dicembre 2008 a Rosarno i lavoratori neri "si ribellarono alla 'ndragheta. Erano stati feriti quattro immigrati, e gli africani fecero qualcosa che da anni gli italiani non fanno più. Scesero in piazza, chiedendo più Stato, più giustizia, più legalità".

Barbara Spinelli ha parlato di "africani dell'antimafia". In contrapposizione a questo spirito di legalità difeso proprio da chi è accusato di essere fonte di illegalità, ovvero gli immigrati, vengono in mente episodi più antichi.
Bologna, 23 novembre 1990. La banda dell'Uno bianca uccide Patrizia Della Santina (34 anni) e Rodolfo "Tatino" Bellinati (27 anni), al campo nomadi di via Gobetti. Ferisce una bambina di sei anni, Sara Bellinati ed una slava di 34, Lerje Lluckaci.

Precisa un lancio d'agenzia: "Alcuni nomadi testimoniano la presenza nel campo di un uomo con un giubbotto poco prima dell'arrivo delle auto", appunto la Fiat Uno bianca ed una Lancia Y10. Una zingara, presente nel campo al momento dell'agguato, e chiamata in Questura a testimoniare riconosce tra i poliziotti presenti uno degli aggressori, Roberto Savi, ma nessuno le dà ascolto.

Andiamo ancora più indietro nel tempo, tra 1977 e 1984: in Veneto (ed altrove) sono uccise quindici persone da due giovani della "Verona bene", 24 e 25 anni, che volevano ripulire la società e firmavano volantini di rivendicazione con "Gott mit uns" ("Dio è con noi"). E' la banda cosiddetta "Ludwig".

Le quindici vittime: un nomade trentenne bruciato vivo, un cameriere omosessuale di quarantaquattro accoltellato come poi un tossicodipendente di ventidue, una prostituta di cinquantadue anni finita a colpi di accetta e di scure, un drogato diciottenne bruciato vivo in un capannone (altri due restano gravemente ustionati), due anziani religiosi massacrati a colpi di martello mentre rientrano da una passeggiata, un frate ucciso a colpi di punteruolo (gli lasciano piantato un crocefisso nella schiena), sei morti in un cinema a luci rosse di Milano (32 feriti gravi) ed una cameriera di una discoteca a Monaco di Baviera (dove uno dei due attentatori ed assassini ha studiato).

Ecco, prima di suggerire al lettore di giornali distratto (che guarda spesso soltanto al titolo delle locandine) che "Rimini è peggio di Rosarno", ricordiamoci che la recente storia d'Italia è piena di vicende amare, spesso etichettate come "misteri", su cui appunto non si è fatta pienamente luce. Per cui azzardare che "Rimini è peggio di Rosarno", è un'operazione politica che non rispetta il vero ed ignora il passato ed il presente. Offende i neri di Rosarno, e qualifica il lavoro nero di Rimini come trama malavitosa. I superkiller che hanno agito con la "Uno bianca" restano tutto un altro discorso. Mai chiuso e mai riaperto.

[21.01.2010, anno V, post n. 29 (1120), © by Antonio Montanari 2010. Mail.]

Sul tema, vedere anche la nota pubblicata sul "Ponte" di Rimini. Il testo si legge anche in questo blog.

[Testo aggiornato, 22.01.2010, 17:10]
Divieto di sosta. Antonio Montanari. blog.lastampa.it
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21 janvier 2010 4 21 /01 /janvier /2010 10:20
Rimini nel 1986 è la capitale italiana del lavoro nero, per la rivista dell'INPS. "La Stampa" nel 1987 dopo i 13 operai (8 non in regola) morti nel porto di Ravenna, accusa tutta la costa romagnola, con "quel miscuglio di arretratezza e sviluppo che ha prodotto un business tra i più importanti". Ed aggiunge: "la capitale riconosciuta di quest'area è Rimini". Tra gli operai morti, un egiziano di 32 anni che dormiva in uno stabilimento balneare a Cesenatico. Negli stessi giorni, in via Cormons, in pieno centro della Marina di Rimini, la polizia scopre 34 senegalesi che trascorrevano le notti in due stanzette.

I problemi ci sono, il nostro giornale non li ha mai nascosti. Dopo il caso di Ravenna, Renzo Gradara scrive che "di lavoro si può morire, oggi più di ieri". Ai funerali, l'arcivescovo Tonini parla di gente condannata "al ricatto: o disoccupato o uomo inutile o prendere quello che ti viene dato". Nel settembre 2006 il mensile "Tre" racconta: "Gli immigrati superano i locali nell'avvio di nuove attività". Venne da pensare ad investimenti mafiosi internazionali.

Scoprire oggi questi problemi come riflesso di altri drammi, parlare di "Rimini peggio di Rosarno" ("civetta" del "Carlino" del 19), è doppiamente fuorviante. Si considera la città occupata dalla mafia o dalla camorra. Il collega Curatola si chiede su Rosarno: "Possibile che nessuno sapesse?". In Romagna si sa. E si opera. Il polverone serve a far scendere una notte in cui tutto è buio. Dare notizie è il nostro mestiere. Inventarsi uno strillo così, "Rimini peggio di Rosarno", è un facile giochetto politico che nuoce alla verità. (a. m.)

Testo pubblicato su "il Ponte" di Rimini, n. 7, in edicola dal 22 e datato 24.01.2010.
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18 janvier 2010 1 18 /01 /janvier /2010 16:52
Ricordiamo il dolore, dietro cerimonie e polemiche

Ebrei


Ebrei. Siano per sempre una spina del cuore e nella memoria, per tutti. Ci sono le giuste cerimonie, le necessarie polemiche. Ma non dimenticare altri piccoli particolari è necessario per capire non quello che è successo, ma il mistero dell'uomo.

Per miserabili premi, italiani come noi hanno tradito e consegnato l'ebreo perseguitato al destino del sacrificio. Per niente italiani come noi hanno agito a favore degli ebrei, li hanno salvati.

Questo mistero dell'uomo non è un'astrazione, è un fatto che tocchi con mano, oggi come ieri o l'altro ieri.

Incontro_papa_ebrei_2010

Ho già raccontato che un navigato intellettuale che guidava un'istituzione culturale cattolica, mi chiese una storia della presenza ebraica nella nostra città, per farne alcune conferenze. Che non potei tenere, qualcuno gliele "sconsigliò". Quella storia poi apparve sul settimanale cattolico della mia diocesi, ben accettata dal direttore che avevo informato della faccenda.

Lo ripeto non per parlare di un fatto mio, ma per constatare come ancora oggi in certi ambienti cattolici tradizionalisti si sia spaventati nel trattare di questi od altri argomenti.

Ho raccontato gesti di soccorso per gli ebrei durante la guerra. Ne ripropongo uno, pubblicato tre anni fa. Per non dimenticare. Sono storie per sempre.

I trentanove ebrei che Ezio Giorgetti ospitò nel suo albergo a Bellaria dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943, riuscirono a salvarsi grazie a carte d'identità fornite loro da Virgilio Sacchini (1899-1994).
La vicenda ci è rivelata per la prima volta dalla dottoressa Patrizia Sacchini D'Augusta, nipote di Virgilio. Suo nonno in quei giorni era Commissario Prefettizio del Comune di Savignano sul Rubicone: «Era fascista, ma era anche un uomo buono ed estremamente generoso (con la sua Industria di Legnami e Imballaggi, prima che gli eventi bellici la distruggessero, aveva dato lavoro  a tanti Savignanesi ed era un padrone che rispettava profondamente gli operai) ed è per questo che né lui né gli altri membri della sua famiglia furono oggetto di ritorsioni da parte dei partigiani del luogo».
Virgilio Sacchini mise al corrente del suo intervento a favore degli ebrei 'bellariesi' soltanto il proprio figlio Marino.
Ascoltiamo ancora la dottoressa Patrizia Sacchini: «La storia mi è stata raccontata diversi anni fa da mio padre, Marino Sacchini, prendendo spunto da un articolo comparso sul Corriere di Rimini (29/09/1994). Alla fine della guerra mio nonno, Virgilio Sacchini, nato a Savignano sul Rubicone il 26 dicembre 1899, Cavaliere della Corona D’Italia, confidò a mio padre di avere aiutato quel gruppo di ebrei, nel 1943, a fuggire e a raggiungere il Meridione. Si diceva felice che tutto avesse avuto termine, poiché aveva messo a repentaglio, con il suo gesto, la sicurezza della sua famiglia».
Prosegue la dottoressa Sacchini: «Ezio Giorgetti (che, attraverso un amico comune, il Sig.Bertozzi, conosceva mio nonno) ottenne da mio nonno le famose carte d’identità in bianco che nel recente articolo pubblicato dal Corriere di Rimini in data 22/01/2007 risulterebbero essere state fornite dal Segretario Comunale di San Mauro Pascoli, Sig. Alfredo Giovanetti. Le carte d’identità appartenevano al Comune di Savignano sul Rubicone e mio nonno, pur correndo un serio pericolo, per il ruolo che ricopriva, non esitò a metterle a disposizione del gruppo di ebrei. Non so se questo fatto fosse noto al Maresciallo Carugno, al Sig.Giovannetti e a Don Emilio Pasolini, immagino che mio nonno avesse chiesto e ottenuto la garanzia del riserbo assoluto attorno al suo gesto. Mi fa immenso piacere offrire questo piccolo contributo alla vostra ricerca. Ricordo mio nonno sempre con tanto affetto e, da convinta antifascista, lo ringrazio di aver contribuito alla salvezza di quel piccolo gruppo di ebrei».
A parlare di carte d'identità fornite ad Ezio Giogetti da Alfredo Giovanetti fu la moglie dello stesso Giorgetti, Lidia Maioli nel volume curato da Bruno Ghigi nel 1980, «La guerra a Rimini», pag. 321.


Su Ezio Giorgetti, ecco una pagina che ho pubblicato nel 1989.

La storia che segue ha per protagonisti 39 ebrei, arrivati a Bellaria nell'albergo di Ezio Giorgetti dopo l'armistizio. Sono donne, uomini e bambini, originari della Germania, dell'Austria, dell'Jugoslavia e della Polonia, fuggiti l'11 settembre da un campo d'internamento veneto. Li ha mandati da Giorgetti una sua vecchia cliente, una contessa che da Asolo, dove abitava, aveva organizzato il viaggio di quel gruppo in camion fino alla Romagna.
«Arrivarono con una lettera di presentazione che li qualificava come 'profughi stranieri'. Li accolsi», testimoniò Giorgetti in un'intervista: «Solo dopo qualche giorno, visti vani tutti i loro tentativi di noleggiare una barca da pesca e di allontanarsi via mare, ci dichiararono di essere ebrei e di rimettersi nelle mie mani».
Chiedono un'ospitalità che per i padroni di casa significa rischio della vita. Solo una decina hanno i soldi per pagarsi la retta-sfollati. Giorgetti e la moglie, Lidia Maioli, li accolgono, li aiutano, ricorrendo per consiglio ed appoggio anche al maresciallo dei Carabinieri di Bellaria, Osman Carugno; al segretario comunale di San Mauro, Alfredo Giovannetti; al vescovo di Rimini, monsignor Vincenzo Scozzoli e don Emilio Pasolini.
Uno degli scampati, Leopold Studeny, definì Carugno «il nostro protettore in tutti i momenti». Giovanetti fornisce carte d'identità in bianco che sono intestate a nomi falsi. Come falsi sono i timbri apposti sui documenti: riproducono lo stemma del Comune di Barletta, che era stato occupato dagli alleati. Quei timbri li ha lavorati un incisore di Rimini, Pietro Angelini. Don Pasolini procura materassi, coperte, biancheria e pane biscottato preparato dalle suore Maestre Pie.
Dopo due mesi, all'albergo di Giorgetti arrivano i nazisti. Gli ebrei sono trasferiti di notte ad Igea Marina, alla pensione Esperia. Pure lì giungono i tedeschi. Altro spostamento alla tenuta Torlonia di Cagnona di Bellaria. E di qui, nel dicembre 1943, per un'altra requisizione nazista, i profughi scappano alla pensione Italia di Gino Petrucci, dove sono presentati come «italiani all'estero» sfollati all'ultimo momento.
Gli alleati s'avvicinano, ma i sospetti di fascisti e nazisti aumentano. Gli ebrei, su consiglio di Carugno, decidono di inoltrarsi verso l'interno, a Madonna di Pugliano (Pesaro).
Nel settembre 1944, ad un anno dall'inizio della loro odissea, sono liberati dagli alleati, e trasferiti a Roma, dove rimangono sino al 2 giugno 1945, quando sono portati all'Ufficio trasporti di Riccione.
Carugno e Giorgetti saranno definiti in Israele «Giusti fra le genti».
«Polizia e carabinieri, nella nostra zona (da Viserba a Torre Pedrera) non si sono mai affannati per collaborare con gli occupanti», dice Guido Nozzoli, ricostruendo i momenti della clandestinità: «Per esempio, la squadra politica del Commissariato, come potemmo accertare dopo la Liberazione, aveva localizzato» un recapito dei Gap nei pressi di Torre Pedrera, «ma non venne mai a bussare a quella porta e non trasmise l'informazione né alla gendarmeria tedesca né alla sede del fascio. Neppure i Carabinieri, a cui era affidato il compito di reperire disertori e renitenti alla leva... se la son presa troppo calda». [Da «Rimini ieri. Dalla caduta del fascismo alla Repubblica, 1943-1946» di Antonio Montanari, ed. Il Ponte, Rimini 1989, pp. 94-95.]

"Aspetti di vita ebraica a Rimini" si legge anche qui.

[18.01.2010, anno V, post n. 26 (1117), © by Antonio Montanari 2010. Mail.]

Divieto di sosta. Antonio Montanari. blog.lastampa.it
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17 janvier 2010 7 17 /01 /janvier /2010 15:56
Il ridicolo delle università non è mai esaminato, altro che internet

Maggiani_manzoni_blog



La discussione sull'uso del web procede bene. Oggi Miguel Gotor dell'Università di Torino, ha scritto un bel saggio sul "Sole", "Il filo della Storia smarrito nella Rete". Pone un problema specialistico non secondario: "...chi e come filtra gli archivi che vanno on line?".

Domanda: come si controllano i saggi che docenti universitari dalla molta prosopopea e dalla poca accortezza pubblicano per mantenere la cattedra? Lo dicevo con un insegnante ormai fuori ruolo per età, e con un prestigioso passato. Non ha contestato la mia opinione. Negli Usa la produzione scientifica dei docenti è esaminata di continuo. Da noi non si fa nulla.

Da noi anzi si fa di peggio. Si creano cattedre non per giovani, ma per pensionati che mai hanno insegnato in precedenza neppure in una scuola media. E' un  sistema ridicolo, che umilia la cultura italiana. La cui sorte è affidata agli amministratori privati che finanziano gli atenei di periferia, ricavandone in cambio non effimero prestigio, ma ben precisi favori.
Fermiamoci alla constatazione, senza scendere in dettagli che non tutti possono decifrare non conoscendo i contesti in cui essi fioriscono. Di cose da dire e chiarire ce ne sono parecchie, eccome.

Web e giornali. Anna Masera nella sua odierna rubrica a p. 26 della "Stampa", scrive nel titolo: "Ma la carta resta indispensabile", riprendendo una ricerca americana.
Da cui emerge che si può aggregare soltanto ciò che si stampa. Giusto. Due riflessioni personali (se la definizione non è troppo ambiziosa). C'è  forse più gente che legge a scrocco i giornali al bar, di quanta sfrutti le edizioni on line. Però si vogliono tassare gli strumenti elettronici, e non le consumazioni al caffè.

Giornali stampati. Se un foglio scrive una cosa inesatta, e voi glielo fate osservare con tanto di nome e cognome, vi censurano. Il web avrà commentatori ispidi ed anonimi, ma qualcosa fa.
La "Stampa" non mi pubblicò una lettera sopra un articolo relativo ad un passo di Leopardi, frainteso da Sebastiano Vassalli (2008).

Vorrei scriverne un'altra oggi sopra l'articolo della "Stampa" firmato da Maurizio Maggiani, dove parla della mia terra, la Romagna, delle sue "piade e piadine" (piada è la parola giusta, piadina l'orribile nome industriale che ha corrotto la parola giusta nell'uso comune), la Romagna che ogni anno ricorda la "trafila garibaldina". Dalla quale Maggiani parte per chiedersi chi abbia la colpa di aver rubato agli italiani l'epopea del Risorgimento.

Maggiani pone tra i sospettati anche Manzoni, uno che allora (durante il Risorgimento), "dava alle stampe una storia secentesca sul ruolo della Provvidenza Divina come dispensatrice di Giustizia".
Quella storia, se Maggiani mi perdona l'impertinenza che limito al blog (rinuncio alla lettera che sarebbe cestinata), non è come lui la sintetizza qui. E Manzoni è un gran bell'intellettuale vissuto fra Lumi e conversione. Non lo si può liquidare miserevolmente, come lui ha fatto, inebriato dal ricordo della "piada e piadina" della mia Romagna.

Gianni-riotta Da vecchio manzoniano sono rimasto più amareggiato che stupito. Pazienza, è un'opinione fortunatamente non espressa sul web, altrimenti Gianni Riotta avrebbe fatto faville.

[17.01.2010, anno V, post n. 25 (1116), © by Antonio Montanari 2010. Mail.]

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16 janvier 2010 6 16 /01 /janvier /2010 15:00
Due esempi, Sassuolo e Rimini



A Sassuolo il sindaco ha fatto togliere "Repubblica" dalla biblioteca comunale, per risparmiare. In compenso, ha fatto abbonare la stessa biblioteca a due diversi quotidiani, che costano come due "Repubbliche" ma hanno maggior peso politico, infatti rappresentano la maggioranza di governo, e sono "il Giornale" e "Libero".

A Rimini un consigliere comunale pdl accusa i cinesi di sputare per terra nelle strade della città, e propone al sindaco di introdurre specifica ammenda. Dovrebbe esistere già una norma nata allo scopo durante il Ventennio. Ma non contro i cinesi.

[16.01.2010, anno V, post n. 22 (1113), © by Antonio Montanari 2010. Mail.]

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15 janvier 2010 5 15 /01 /janvier /2010 15:00
Tama17_01_2010
Torna sul settimanale (anzi da oggi bisettimanale) "il Ponte" di Rimini, la rubrica di satira "Tam Tama"?

(Tama fu l'iniziale pseudonimo, dal nome dell'alga Tamarensis, "alga rossa, quindi garibaldina", secondo un pensiero attribuito a Craxi, di cui si parlava nella prima puntata, settembre 1982...)

Fatto sta che nel numero in edicola oggi de "il Ponte", c'è il pezzo sulla "Malascuola" che riunisce due post apparsi qui sopra, il 7 gennaio ed il 10 gennaio. L'ultima puntata apparve nell'ottobre 2006. La si legge anche nel blog della "Stampa".


Studenti
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12 janvier 2010 2 12 /01 /janvier /2010 14:12
Il latinorum di Berlusconi. Discorso letterario forse pure politico


Russi_blog


La chiamavo, in classe, la notte dell'autostrada, perché nello sceneggiato tv si sentiva sullo sfondo il rombo dei motori. Manzoni la chiama "la notte degl'imbrogli e de' sotterfugi". E' quella del celebre "Addio, monti...", capitolo VIII dei "Promessi Sposi". E' quella in cui padre Cristoforo fa entrare in chiesa Renzo e Lucia. Ed il povero sagrestano fra Fazio sussurra: "ma padre, padre! di notte... in chiesa... con donne... chiudere... la regola... ma padre!".

Ed allora il padre Cristoforo dice a fra Fazio "Omnia munda mundis", dimenticando che il poveretto "non intendeva il latino".

Fra Cristoforo fa un uso furbo della lingua dei romani. Infatti fra Fazio "al sentir quelle parole gravide d'un senso misterioso" si acquieta. Berlusconi spera pure lui che le sue frasi suonino nella stessa corda di autorevole risoluzione dei problemi.

Ma nel romanzo manzoniano c'è un altro latino, di un altro uomo di Chiesa, don Abbondio. Quando al cap. II spiega al povero Renzo i motivi per i quali non può celebrare il suo matrimonio, ed è la lista degli "impedimenti dirimenti". Celebre la risposta di Renzo: "Che vuol ch'io faccia del suo latinorum?".
Quello di don Abbondio è un latino "birbone, fuor di chiesa, che viene addosso a tradimento, nel buono d'un discorso"... (cap. XXXVIII).

Il cavalier Berlusconi confida che gli italiani conoscano il latino per comprendere le sue parole. Ne fa un uso in parte poco furbo, in parte birbone ed in parte comico.

La parte della macchietta non può mancare nelle esibizioni del cavaliere, e mi spiego sul piano letterario: l'uso di una citazione è serio se essa è riproposta anche in un diverso contesto rispetto a quello da cui è tolta.
Se, ad una espressione logica e consacrata (leggi "ad personam"), si sostituisce il paravento che ne vuol celare la fisionomia parlando di leggi "ad libertatem", ecco allora la macchietta alla Totò.
Suvvia, come possiamo credere a chi (governando) imita maldestramente i comici del varietà. Se è il comico di professione a parlare "alla Totò" non c'è trucco e non c'è inganno. Invece qui, sì, c'è: perché a fare il comico è il capo del governo.

Nella foto, dal colbacco russo di Totò e Peppino al giaccone russo di Silvio Putin Berlusconi

[12.01.2010, anno V, post n. 16 (1107), © by Antonio Montanari 2010. Mail.]

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10 janvier 2010 7 10 /01 /janvier /2010 16:00
Il caso del Turco non desta clamori



08A01.2010_delturco

E se provassimo a discutere apertamente della Giustizia, partendo non dai casi suoi (di Berlusconi), ma dalle vicende terribilmente serie come quella capitata ad Ottaviano del Turco?

Accantonando il fumo negli occhi della strada intitolata a Craxi (perseguitato lui, ergo perseguitato Berlusconi, secondo quest'ultimo), ed ascoltando, non so, Alberto La Volpe, che oggi al "CorSera" dice: "Del Turco paga il suo passato socialista".
Lo paga con i Carabinieri che non sospettavano di lui, ma del suo accusatore, e non da latitante.

Allora, tornerebbe il classico problema italico, le due chiese protettrici soltanto dei loro fedeli... Con l'aggiunta che ora le chiese sono tre, con Berlusconi in campo. E chi non mangia con me peste lo colga. Accaduto puntualmente a Del Turco, secondo La Volpe.

[10.01.2010, anno V, post n. 15 (1106), © by Antonio Montanari 2010. Mail.]

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10 janvier 2010 7 10 /01 /janvier /2010 14:06
Riotta accusa di teppismo i blog. E parla di declino del web



Gianni-riotta Di "assatanati sui blog" parla Jaron Lanier, "guru di internet e dei new media": così oggi Gianni Riotta sul "Sole", che ne rilancia il pensiero in un fondo che ha per occhiello: "Il declino del web". Lo contraddice il suo stesso giornale, a p. 7: sciopero degli immigrati, "l'iniziativa partita dal web".Lanier




"Il pioniere Lanier", nel libro di cui Riotta tratta, parla di cose serie: "La massa ha il potere di distorcere la storia, danneggiando le minoranze". Di "teppisti", il mondo è pieno sin dalle origini. Non li hanno inventati i blog.


Internetriotta Riotta è contrario al web. Vecchio discorso. Un anno fa sul "Corrierone", c'era una sua lezione intitolata: "La Rete cancella l'opinione pubblica", "La verità moltiplicata all'infinito con Internet rischia la manipolazione".


Nuovo contesto per il vecchio discorso. Riotta ha assegnato a Tremonti un premio. Da solo. Ma dicendo che il premio era stato dato dalle "grandi firme del Sole 24 Ore".

Una verifica del sito Lavoce.info ha rivelato che nessuna "prestigiosa firma" del Sole sapeva niente del premio. Anzi lo stesso sito assegnava a Riotta "il Premio Indipendenza 2009", "per il coraggio mostrato nel premiare" Tremonti, "il più grande azionista dei più grandi soci di Confindustria", proprietaria del "Sole".
Dunque, Riotta, uomo solo al comando, ha chiesto idealmente manforte alla massa dei prestigiosi per far bella figura.

L'anonimato del web può favorire i cretini. Gli spioni legati alla politica però fanno di peggio. Ne ho avuto esperienza. L'incontinenza epistolare, censoria e pedagogica c'è anche tra chi non usa internet. Che è la rete più fragile (vedi il cretinismo che inquina wiki). Le reti più forti del web, fanno di peggio. Perché se gli vai a raccontare di certe mafie culturali ti prendono per scemo.

Dunque, c'è un solo uomo in Italia, Riotta, che ha sempre ragione su tutto? Se Riotta sfoglia il suo giornale, legga la rubrica domenicale di Chiaberge: oggi tratta dell'arte dell'insulto, praticata ampiamente fuori dal web (esempi citati, Vittorio Feltri e Beppe Grillo: personalmente non li metterei sullo stesso piano, per ovvi motivi, Grillo non ha dietro di sé il capo del governo).

Chiaberge scrive che sono "statisticamente diffusi" quei tipi, i "Superego maleducati che si credono in diritto di insultare chi la pensa diversamente e se qualcuno li critica [...] lo fanno bastonare dai loro bravi. In senso metaforico, s'intende". Ci mancherebbe altro, divin Chiaberge.

[10.01.2010, anno V, post n. 13 (1104), © by Antonio Montanari 2010. Mail.]

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