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  • : Storie, fatti e commenti a cura di Antonio Montanari Agg. 24.12.2021
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19 septembre 2012 3 19 /09 /septembre /2012 17:19

Era il 1990. Chiusa la stagione turistica, scrissi nel Tama n. 362 una lettera aperta al Questore di Forlì, dichiarandomi certo che, nel suo consueto bilancio autunnale, egli avrebbe ribadito un'opinione già espressa negli ultimi anni: in Riviera non esistono fenomeni mafiosi. Per lui non c'era la grande criminalità, ammetteva soltanto che c'era quella piccola. Le statistiche gli davano ragione. A Riccione, in giugno, era stato arrestato per un furto d'auto uno slavo pluriomicida. Il reo subì il processo sorridendo, e dopo la condanna ottenne la giusta libertà provvisoria. Per poter poi ammazzare sembra altre sei persone, in due tornate. Lo slavo aveva una base tra Rimini e Santarcangelo. A Rimini era già stato arrestato. Secondo il suo avvocato, era un tipo che si notava per "il petto coperto da spaventose cicatrici". Forse per pudicizia, nessuno lo aveva mai fotografato "nature", prendendo nota di quei "segni particolari" tanto evidenti. Il 'grande' delinquente (che uccise lontano dalla Riviera), finì nelle nostre statistiche della 'piccola' criminalità, a causa d'un furto d'auto.
L'impressione, in questa chiusura d'estate del 2012, è che ci troviamo davanti allo stesso copione. Il prefetto di Rimini il 28 agosto, dopo gli spari con tentato omicidio di un tunisino al ponte dei Mille, parlava di episodi "gravi ma isolati". Rifiutando le statistiche giornalistiche che mettono Rimini al secondo posto in Italia per numero di crimini denunciati nel 2011, sottolineava giustamente che con il turismo aumenta la gente, e si sa come oggi vanno le cose. Da vecchio, inutile cronista aggiungo che il turismo ha sempre portato gente in città, ma una volta non faceva aumentare i crimini come ora.
Adesso per quel tentato omicidio sembra aperta una nuova pista, dopo che il 2 settembre al Covignano è stato ucciso un tassista di 55 anni. Il presunto killer è sotto osservazione anche per l'episodio del ponte dei Mille e gli spari esplosi contro un omosessuale alla vecchia Cava. Tutto questo ovviamente non significa nulla, sono soltanto notizie che vagano nell'aria. Il 28 agosto il prefetto assicurava i cronisti che, per gli spari al ponte ed alla cava, gli investigatori erano a buon punto. E concludeva: "Non voglio nascondere che da parte dei cittadini la percezione della sicurezza è cambiata", ma non siamo nel Far West. Forse a Rimini si è imposto il modello milanese di spaccio di droga, libero ed aperto, come sa bene la Polizia meneghina. [Anno XXXI, n. 1095]
Al dossier mafia de "il Rimino", 2010.
Alle rubriche Tama del 1990 [o su Scribd].

Antonio Montanari
(c) RIPRODUZIONE RISERVATA
"il Ponte", settimanale, n. 33, 23.09.2012, Rimini

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11 septembre 2012 2 11 /09 /septembre /2012 10:25

Alla fine il romanzo riminese di Walter Veltroni ha messo d'accordo tutti: per dirla con Fantozzi, è una bojata pazzesca. Ha cominciato l'ex sindaco Giuseppe Chicchi. D'accordo sulla demolizione dell'isola delle rose (se fosse sopravvissuta, oggi il mare sarebbe pieno di "repubbliche delle poveracce"), avverte: l'isola non c'entra nulla con il Sessantotto. Per Chicchi la risposta alla crisi in cui Italia e Rimini vivono, non si trova nell'effimero, ma nel lavoro faticoso e lento per rafforzare le istituzioni politiche, economiche e culturali.
Poi è arrivato D'Alema, con un occhio rivolto al Veltroni del '68 (un tredicenne alla scoperta della vita), e l'altro a se stesso in viaggio per l'Europa, da Praga a Francoforte. Il sapore della nostalgia, notato dal leader Massimo nel romanzo del giovane Veltroni, potrebbe sottintendere una deplorevole ispirazione borghese che fa sorridere l'antico rivoluzionario di professione D'Alema.
Un altro recensore, Nerio Nesi, descrive il libro veltroniano con raffinate parole: è ispirato alla commedia all'italiana. Quella che fatto le fortune di cinema e tv. Infine la domanda più angosciante di Nesi, approda alla riva della comicità pura: perché, se quell'isola è affondata, è finito pure sott'acqua il suo ricordo? Ma Nesi non è mai venuto a Rimini? Per spiegargliela, usiamo le parole di un altro illustre romanziere che con le sue pagine ha costruito un monumento alla memoria degli anni Trenta nella nostra città, Sergio Zavoli. In questa stessa rubrica, nel 1993 (n. 467) abbiamo riportato alcune sue frasi pronunciate alla tv di San Marino: "Rimini non onora il cittadino che si fa onore. È dissacrante, disincantata, ironica. Non concede più di tanto, è scettica. La sua diversità risale al tempo dell'inverno vissuto nei caffè, che è il suo tempo, non l'estate: e noi d'inverno discutevamo se si dovesse dire tela gommata o gomma telata. Rimini gode nell'immaginare, nell'esagerare".
Dopo 20 anni che cos'è cambiato? Nel 1992 (n. 447) avevamo immaginato Achille Occhetto inaugurare il monumentale edificio del Kursaal di cartapesta, dieci metri per tre, legno compensato, primo esempio della Rimini del futuro, pronunciando un applaudito discorso per additare a tutti "l'opera nuova che resterà immortale nei secoli avvenire". Il nostro Occhetto concludeva chiedendo ai riminesi: "Volevate la metropolitana?". E prometteva l'arrivo di trenini giocattolo per tutti. Nel 2012 è giunta la ruota gigante. [Anno XXXI, n. 1094]

Antonio Montanari
(c) RIPRODUZIONE RISERVATA
"il Ponte", settimanale, n. 32, 16.09.2012, Rimini

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28 août 2012 2 28 /08 /août /2012 18:16

Vent'anni fa ricordando la nascita di questa rubrica (26.09.1982), concludevo con un'occhiata nazionale. Il Governo tagliava le spese, ma la Regione elargiva 357 milioni al concorso ippico Pavarotti di Modena. Darsi all'ippica non è in fin dei conti un cattivo consiglio, era la triste consolazione. Al Governo c'era dal 28 giugno Giuliano Amato. La sua manovra finanziaria fu di 93.000 miliardi di lire. Nei dieci anni della rubrica, e non per colpa mia, il debito pubblico è passato dal 64% del Pil al 105,2. L'11 luglio hanno cominciato a privatizzare con Iri, Eni, Enel ed Ina. L'anno dopo, il 28 aprile, nasceva il governo tecnico quadripartito di Carlo Azeglio Ciampi.
Nel 1992 ricordavo l'eroica impresa turistica di un Kursaal di cartapesta, di fronte al Grand Hotel. Quest'anno abbiamo avuto la Grande Ruota Panoramica. Nel 1992 per studiare il problema del traffico cittadino, si era andati a Barcellona a vedere come lo si era risolto là. Adesso è cambiata la mèta, Friburgo. Nel 1992 come nel 1982 si continuava a discutere del turismo in crisi. Il nuovo era che giungemmo alla rissa e agli insulti. Per i giovani, ci avevano promesso ostelli in cui ospitare i saccopelisti di antica memoria. Grazie a cronisti un pò affrettati, l'estate '92 aveva omologato tutti i giovani nella categoria dei delinquenti.
Walter Veltroni, anziché andare in missione in Africa come promesso, fa pure il romanziere, tirando in ballo l'isola delle rose davanti alle coste riminesi, demolita dallo Stato nel 1969. La colpa non è nostra, il sospetto era che si volesse realizzare lì sopra, in acque extraterritoriali, un casinò. La presentazione del libro veltroniano è stata accompagnata da varii ricordi letterari, dove non abbiamo trovato richiami al nostro maggior narratore contemporaneo, Piero Meldini che nel 1996 proietta in una scena secentesca un giudizio sempre attuale: Rimini è una "Città ingrata, più contenta delle altrui disgrazie che delle proprie fortune, cieca ai meriti, insensibile all'ingegno. Patria disgraziata!".
Ho ritrovato le "Prediche inutili" di Luigi Einaudi, ritagliate dal Corrierone oltre mezzo secolo fa. Il foglio milanese le ha riproposte in volume quest'anno a conferma della validità di quell'aggettivo. In collana c'è pure Alcide De Gasperi. Una sua frase messa in pubblicità è stata poi usata dal Presidente Mario Monti: "Un politico guarda alle prossime elezioni, uno statista alle prossime generazioni". Prediche inutili. [Anno XXXI, n. 1093]

Antonio Montanari
(c) RIPRODUZIONE RISERVATA
"il Ponte", settimanale, n. 31, 02.09.2012, Rimini

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20 août 2012 1 20 /08 /août /2012 17:33

Due storie vere. Il 16 settembre 1970 un giornalista palermitano, Mauro De Mauro, è sequestrato sotto casa e mai più ritrovato. La sentenza che ha chiuso il processo sulla sua scomparsa, è depositata il 7 agosto 2012. De Mauro sarebbe stato ucciso per le indagini avviate su incarico del regista cinematografico Francesco Rosi circa la morte di Enrico Mattei, avvenuta la sera del 27 ottobre 1962. Mattei, presidente dell'Eni, era a bordo di un aereo pilotato dal riminese Irnerio Bertuzzi, e precipitato a Bascapé in provincia di Pavia: per colpa del maltempo o di un errore umano, si disse allora.
La sentenza precisa: il cronista palermitano fu tolto dalla circolazione perché non facesse conoscere a nessuno "quanto aveva scoperto sulla natura dolosa dell'incidente di Bascapé, violando un segreto fino ad allora impenetrabile e così mettendo a repentaglio l'impunità degli influenti personaggi che avevano ordito il complotto ai danni di Enrico Mattei". A tradire De Mauro è stato Graziano Verzotto, ex senatore della Dc, deceduto a 87 anni il 12 giugno 2010. Verzotto, ex dirigente dell'Eni, era stato pure coinvolto nel delitto Mattei.
Seconda storia. 10 agosto 1867, uccisione di Ruggero Pascoli, il padre del poeta Giovanni. La sera del 10 agosto 2012, il processo d'appello a quello svoltosi nello stesso giorno del 2001, si è tenuto a San Mauro, con una sentenza popolare che rovescia il precedente verdetto, e rimanda ad una terza sessione (2017). Nel 2001 il repubblicano Pietro Cacciaguerra e gli ex garibaldini Michele Della Rocca e Luigi Pagliarani furono assolti per insufficienza di prove. Ora sono stati condannati, ma ipotizzando colpe anche per il principe Alessandro Torlonia presso cui Ruggero Pascoli lavorava da 13 anni, senza il contratto da fattore a cui aspirava. Cacciaguerra era stato denunciato da Pascoli a Torlonia come un imbroglione da cacciare dalla tenuta. Egli ha agito da solo per vendetta, od è stato uno strumento del principe?
L'accusa (Ferdinando Imposimato) ha analizzato i nuovi materiali storici raccolti da Rosita Boschetti. La difesa di Nino Marazzita ha divagato sul tema della Giustizia in Italia, in crisi per colpa dei politici, derisi tra gli applausi del pubblico. Il quale però ha votato per l'accusa. Di cui ricordiamo il passo che dovrebbe essere fatto proprio da tutte le persone serie: "Senza Giustizia lo Stato si sgretola". Ma è Giustizia quella che arriva dopo 42 anni, come nel caso De Mauro? [Anno XXXI, n. 1092]

Fuori Tama 1092. Giustizia, sala d'attesa. O che non arriva mai.
Al "Delitto Ruggero Pascoli" ["il Ponte", Rimini, n. 25, 01.07.2012].

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3 août 2012 5 03 /08 /août /2012 14:55

Nel febbraio 2000 ("Tama 748, Favole") a proposito del nuovo ponte pedonale sul fiume Marecchia (dal costo di un miliardo e 360 milioni di lire), ricordavamo che 30 anni prima il Piano regolatore aveva previsto la costruzione di un ponte normale per collegare la nuova sottocirconvallazione di via Caduti di Marzabotto con la zona Nord di Rimini posta al di qua dello stesso Marecchia.
A metà degli anni Sessanta per quel Piano la città prese una di quelle cotte che lasciano un segno duraturo: l'anello di fidanzamento costò 650 milioni. Tutto il centro storico doveva essere smontato e rifatto, un'eccezionale monorotaia sopraelevata avrebbe risolto i problemi del traffico. La storia finì in un romantico abbandono. La tenera fanciulla aprì gli occhi, scoprì che il borsellino era vuoto per aver pagato i meravigliosi progetti, e troncò la relazione. Per sempre.
Oriana Maroni su quegli anni ha scritto: assieme al benessere "emersero anche i limiti e le contraddizioni legati al degrado ambientale, al disordine urbanistico, alla stagionalità occupazionale di quello che gli amministratori dell'ultimo secolo avevano scelto fosse il settore trainante dell'economia riminese".
Sul finire del 1986 si pensò di togliere le auto dal Ponte di Tiberio, su cui purtroppo ancora oggidì passano indisturbati pedoni e ciclisti che infastidiscono (e molto) sia i rombanti motori a due ruote sia le debordanti autovetture a quattro ruote simili a minibus.
Nel 2000, a proposito del ponte pedonale sul Marecchia, più piccolo di quello per la sottocirconvallazione, ci permettemmo di osservare: a Rimini piace, per via del suo stesso nome, il "mini", all'insegna del motto economico preferito nella nostra zona da mezzo secolo: "piccolo è bello" (la pensioncina, la piadina, il vicolino...). Cronache più recenti, parliamo dello scorso giugno, ci confermano nella nostra opinione, e scusate se ci diamo ragione da soli. A proposito del caffé letterario intitolato al "Giardino degli aromi" di Palazzo Lettimi, ci è stato spiegato dall'Assessore competente che esso è un angolo che sembra un atelier parigino.
Ci scusiamo per l'ardire, in virtù del solo fatto di esserci nati in Palazzo Lettimi, ma ci sembra una di quelle opinioni che il Manzoni avrebbe definito piuttosto strane che mal fondate, e che sinceramente a noi appaiono prive di qualsiasi riferimento reale. Le macerie dell'edificio restano macerie, nonostante le intenzioni di un cólto amministratore pubblico. [Anno XXXI, n. 1091]

Al "Fuori Tama 1091".

Antonio Montanari
(c) RIPRODUZIONE RISERVATA


Fuori Tama 1091
Ancora favole. Mezzo secolo di polemiche


Nel Tama 1091 abbiamo ricordato varie fonti, nostre ed altrui. Cominciamo da queste ultime.

La citazione di Oriana Maroni, proviene dalla mia storia di Rimini (1859-2004), leggibile integralmente su Scribd.

Altri passi sono ripresi da precenti articoli miei:
Ritratto di una città in «rosso-pci». Il nostro turismo raccontato dall’ex sindaco Zaffagnini
Rimini, «trionfo del cattivo gusto» L’urbanistica cittadina secondo Grazia Gobbi Sica
De Carlo e la Rimini "nuova" degli anni Sessanta. Ideò un piano regolatore abbandonato dal Comune
IL PONTE, storia 1987-1996 del settimanale riminese, 1987.2. La città-capoluogo.

Ecco infine il Tama 748, Favole, citato nel Tama 1091.
Ci sono le leggende metropolitane che non corrispondono a verità. Ci sono poi le favole cittadine che nascono da fatti realmente accaduti ma finiti nel dimenticatoio, e che permettono di ricostruite storie importanti che non dovrebbero perdersi con il passare del tempo, talmente sono istruttive. Fra le favole cittadine, noi iscriviamo d’autorità il nuovo ponte pedonale sul fiume Marecchia, appena collocato (ma da terminare), per i motivi seguenti.
Trent'anni fa il piano regolatore aveva previsto la costruzione di un ponte 'normale' che collegasse la nuova sottocirconvallazione (via Caduti di Marzabotto) con la zona Nord di Rimini, posta al di qua dello stesso Marecchia. Come tutti sanno, il ponte 'normale' non poté essere costruito, per cui non si riuscì ad alleggerire la vecchia e la nuova circonvallazione, e Rimini rimase con l'eterno problema del traffico, anche perché non si è ancora giunti a risolvere quella che in anni lontani si definì la questione dell'allargamento dell'autostrada o del suo spostamento.
In sostituzione del ponte 'normale', noi cittadini ne abbiamo ricevuto in dono uno più piccolo (ma non per questo non costoso: un miliardo e 360 milioni), a conferma che a Rimini piace, per via del suo stesso nome, il "mini", all'insegna del motto economico preferito nella nostra zona da mezzo secolo: "piccolo è bello" (la pensioncina, la piadina, il vicolino, ecc.). In effetti, il ponte pedonale sul Marecchia è sì bello ma non piccolo, per cui domina maestoso il panorama fluviale.
Chi se lo immagina affollato di pescatori affacciati al suo impalcato, o di visitatori che su di esso sostino ad ammirare lo scorrere delle acque, deve aggiungere alla favoletta una piccola appendice: ci è stato detto che il sottostante cavo dell'Enel da 132 mila volt emanerà un campo magnetico tale per cui, sul ponte, non ci si potrà fermare ma si dovrà transitare in fretta, soprattutto per i portatori di pace-maker. Noi vorremmo dagli esperti conferma o smentita a queste voci, per rassicurare "la cittadinanza" ed evitare eventuali guai ai soggetti a rischio.
Intanto, visto che, sebbene con trent'anni di ritardo, e con le differenze di cui s'è detto, un ponte alle Celle si è fatto, perché non prendere esempio da questa favola anche per il teatro Galli, e cominciare a progettare qualcosa di più "piccolo" (e bello), per avere almeno fra trent'anni un teatro dei burattini? [748]
Antonio Montanari
(c) RIPRODUZIONE RISERVATA
"il Ponte", settimanale, Rimini, 05.08.2012


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24 juillet 2012 2 24 /07 /juillet /2012 17:00

tama1090_28ponte.jpgIn una ironica cartina geografica dell'Italia, apparsa domenica scorsa nel Corriere della Sera sul tema dell'abolizione di 64 delle attuali 107 Province, ci hanno illustrato con queste parole: "Forlì-Rimini. Solo nel 1992, dopo anni di tentativi, Rimini è riuscita a distaccarsi dal territorio della rivale storica; ora sarà costretta a conviverci di nuovo". Per la cronaca, e sia detto senza offesa per nessuno, a quanto pare anche Forlì passa in ombra sotto il dominio bizantino di Ravenna.
Non sono convinto che, rotte le uova nel paniere durante il viaggio, la preparazione della frittata sia poi un grande successo gastronomico. Nulla si può scartare dal gran fascio delle ipotesi che i politici esibiscono, ma credo che sia difficile sostenere, come hanno fatto gli onorevoli Mazzucca e Pizzolante, che la "Grande Romagna" con Rimini, Forlì-Cesena e Ravenna conterà di più in Regione, nel Governo di Roma ed in Europa. La politica non è un viaggio con posto prenotato per tutti, ma ancora e purtroppo è un assalto alla diligenza. Chi se ne impadronisce, guida cavalli e viaggiatori dove vuole lui.
Lo Stato italiano si trova in una terribile emergenza. Così ci spiegano oggi, a pochi mesi di distanza dalle dichiarazioni del precedente Presidente del Consiglio secondo cui l'Italia era un Paese ricco, e la gente faceva la fila per entrare nei ristoranti di lusso. Temiamo la stessa sorte della Grecia e della Spagna. Una disoccupata di quest'ultimo Stato, Jessica Cabeza, ha scritto ad un giornale: "Non vedo banchieri in prigione né politici disoccupati".
La crisi finanziaria che corre impazzita per l'Europa, era stata prevista dall'allora ministro Tremonti che nel settembre 2008 disse: "Non è la fine del mondo, ma la fine di un mondo". Peccato che queste parole le avesse copiate da un editoriale a firma di Domenico Siniscalco. L'episodio in apparenza non significa nulla, ma indica una caratteristica drammatica della Politica italiana: del senno di poi son piene le fosse, come si diceva una volta.
La riduzione delle Province creerà più problemi e costi di quanto invece si spera di risparmiare. Una sola questione che riguarda i dipendenti: non possono esser tagliati anche i loro stipendi. Riorganizzare lo Stato si deve e si può, senza troppe chiacchiere e con amministratori competenti. Non basta fare gli eroi passando Rimini sotto Ravenna. Tutto fumo e poco arrosto. Cominciamo a risparmiare sul serio rinunciando alle armi, come gli F35. [Anno XXXI, n. 1090]

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17 juillet 2012 2 17 /07 /juillet /2012 11:20

Enrico Bondi, il chimico prestato alla politica per far quadrare i conti, ha soppresso l'Ente per il microcredito che doveva aiutare gli imprenditori rimasti senza aiuti dalle banche. L'Ente ha prodotto un solo risultato: costare due milioni annui di euro, di cui 120 mila al suo presidente, un deputato (com'è ovvio).
Il sen. Ignazio Marino, chirurgo dei trapianti, ricorda che la chiusura dei punti nascita con meno di 500 parti l'anno, decisa ora dal governo, era già stata decretata nel 2000. Marino sottolinea: per la sanità non si è entrati nel dettaglio degli sprechi, ma si sono fatti tagli uguali per tutti, 22 miliardi in due anni. Non si sono distinte le Regioni virtuose dalle negligenti, avviando lo smantellamento dell'assistenza come diritto costituzionale.
Avverte l'indiano Amartya Sen, 78 anni, premio Nobel per l'Economia nel 1998: se a condizionare i governi sono le istituzioni finanziarie, viene meno la democrazia. Nella spesa pubblica, sostiene, ci vuole maggiore responsabilità, ma le politiche di lacrime e sangue aggravano la crisi. E soprattutto, i governi democratici non debbono sottostare agli ordini dei potenti della finanza. Sen ribadisce la vecchia regola politica del filosofo John Stuart Mill (1806-1873): la democrazia è un "governo attraverso la discussione". Molti non amano la discussione. Il famoso regista ceco Milos Forman ha difeso la politica sociale di Obama dall'accusa di voler imitare quelli che si chiamavano i Paesi del socialismo reale. La cui violenza non c'entra nulla con le sue linee socialdemocratiche di matrice europea.
Il Washington Post definisce l'Italia la malata d'Europa per colpa di guasti storici come l'evasione fiscale record, la mancanza di spirito civico, il nepotismo che esclude la meritocrazia. Ma pure gli Usa non se la passano bene. Per il filosofo Michael Walzer, 77 anni, c'è in essi una parte consistente della popolazione che considera insopportabile il livello di disuguaglianza esistente. Vittorio Zucconi aggiunge: l'85% della popolazione è a rischio recessione nella scala sociale rispetto ai genitori. Insomma, il sogno americano è al tramonto. Le cause le spiega Massimo Muchetti: la ricchezza delle famiglie è al livello del 1992, e riguarda come in Italia e Francia il 10% della popolazione. Il debito pubblico degli Usa (un trilione l'anno) è dimenticato da chi dà le pagelle all'Europa, perché gli Usa hanno un triplice primato, militare, tecnologico e finanziario. [Anno XXXI, n. 1089]

Antonio Montanari
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"il Ponte", settimanale, Rimini, 22.07.2012

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3 juillet 2012 2 03 /07 /juillet /2012 16:23

All'Ufficio stranieri della Questura di Brescia la signora Silvia Balottelli ha dovuto fare file interminabili da quando aveva adottato Mario, cinque anni, sino al giorno in cui il giovane, nato a Palermo ed affidato alla sua famiglia, ha compiuto diciotto anni ottenendo la cittadinanza nel nostro Paese. Lo ha raccontato Gad Lerner su Repubblica. “Vietato farla facile” ha aggiunto Lerner, alludendo al fatto che il goleador “non sembra avere nessuna voglia di fare l'eroe positivo”. Non dimentichiamo le sollecitazioni del presidente Napolitano e la proposta di legge di iniziativa popolare, per considerare italiano chi nasce sul nostro suolo. E soprattutto ricordiamo: i diritti naturali dell'uomo sono carta scritta da parecchio tempo. La rivoluzione americana li ha dichiarati nel 1776, poi sono venuti i francesi nel 1789.
Il bello delle vicende politiche mondiali degli ultimi tempi, è che le parti si sono invertite. Il presidente degli USA Barack Obama ha visto la sua riforma sanitaria di tipo europeo promossa dalla Corte Suprema. Essa promette di curare i poveri a spese degli Stati. Se la riforma fosse stata bocciata, come auspicavano i repubblicani, i malati cronici avrebbero rischiato di perdere la copertura sanitaria. Ma, pure qui, è vietato farla facile: la battaglia dei 26 Stati contrari alla riforma, proseguirà anche dopo la sconfitta presso la Corte Suprema.
La questione riguarda pure gli Europei per quella specie d'antipatia che i commentatori d'Oltreoceano manifestano ogni volta che parlano dei grandi problemi del Vecchio Continente. Al quale attribuiscono le cause delle loro rogne, come la crisi finanziaria del 2008. Per risolvere le questioni europee, ora si propone la strada americana, con la cessione della sovranità nazionale agli Stati Uniti d'Europa: sulla Stampa lo ha scritto Francesco Guerrera, del Wall Street Journal.
Il problema è questo: se i numeri elettorali di alcuni Stati europei daranno risposte maggioritarie razziste o reazionarie ai temi in discussione sul tavolo politico continentale, rischiamo di rovinare tutto perché così vogliono le regole, stracciando la nostra Costituzione. Appunto, è vietato farla facile. Non bastano i successi europei di Monti che, secondo Massimo Gramellini (Stampa), ha sovvertito l'immagine dell'italiano sbruffone e traditore, ed è stato negoziatore duro e leale nel rispetto della parola data. Occorre essere tutti convinti dei valori presenti nella Costituzione. [Anno XXXI, n. 1088]

Antonio Montanari
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"il Ponte", settimanale, Rimini, 8.7.2012

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1 juillet 2012 7 01 /07 /juillet /2012 18:56

Il libro: F. Gàbici, Un prete e un cane in Paradiso.
 

 

La terra dei mangiapreti raccontata con occhio evangelico da don Francesco Fuschini, prete povero e grande scrittore.


Siamo tutti figli di Dio, scrisse don Francesco Fuschini, e pensava al suo cane Pirro: “Perché fare tante filippiche distinguendo tra creature che parlano e quelle che abbaiano?”. Nella Romagna di un tempo, più in basso dei cani nella considerazione sociale c'erano soltanto gli oppositori politici, come gli anarchici che don Francesco amava d'un amore che diventa testimonianza commossa nelle sue pagine letterarie.
Aveva narrato di Guiaza: “Abita di faccia alla canonica, sicché io lo studio dai vetri di cucina e lui tocca ferro quando se ne accorge”. Guiaza i preti li avrebbe messi a dimora come si fa delle viti, pensava don Fuschini. Immaginando il proprio funerale, il prete-scrittore costruiva una scena non inverosimile, con quell'ultimo anarchico che andava da solo, malfermo sulle gambe, lontano dal branco dei credenti per non contaminarsi: “Per tagliare il sospetto alla radice, fuma a pipa calda e scaracchia da oriente a occidente”, recitando in dialetto le sue litanie, “prete vigliacco, prete canaglia, prete assassino”. E lo scrittore concludeva: “è tutta roba che va al prete, perché a me come uomo l'anarchico vuole un bene forte e romagnolo”.
Don Fuschini ha raccontato la vita vissuta in questa terra forte e ribelle, poco vigliacca e traditrice, pronta a far di tutto un niente ed a cavare dal niente il succo migliore della vita. Con gente che lui, il parroco, vedeva illuminata dalla luce del Vangelo, la quale usciva fuori dalla canonica e dalla porta della chiesa deserta. Andrebbero rilette certe sue pagine sull'umanità ed onestà intellettuale dei poveri mangiapreti romagnoli d'un tempo che lo avevano aiutato, lui povero figlio di un fiocino delle valli ferraresi (e di una sarta di campagna), a pagare la retta del seminario. Quei mangiapreti che onoravano i loro avversari dedicandogli persino un tipo particolare di minestra, chiamata beffardamente “strozzapreti”.
La bella biografia di don Fuschini, che uno scrittore felice e storico della Scienza, il ravennate Franco Gàbici, ha appena pubblicato presso Marsilio (“Un prete e un cane in Paradiso”), racconta questo sacerdote che ha avuto pure il dono della vocazione letteraria, senza mai montarsi la testa, anzi restando sempre fedele al principio della modestia come somma regola morale al punto di intitolare un suo volume alle “parole poverette”. Scomparve sul finire del 2006, a 92 anni, dopo il lungo silenzio della sua brillante penna, dovuto alla malattia che lo aveva colpito. Abituato a parlare scrivendo ed a scrivere parlando, ha ricevuto dalla vita lo schiaffo di questo silenzio che nel suo spirito avrà perdonato in virtù della fede, ma che da uomo schietto avrà considerato una vigliaccata a tradimento.
La sua è stata la vita semplice di un prete povero, non di un povero prete. Un uomo mite che amava tutti, soprattutto i mangiapreti di quella Romagna all'antica che oggi non c'è più. Agli anarchici d'un tempo don Francesco dedicò un delizioso, amorevole capolavoro, appunto intitolato "L'ultimo anarchico" (1980). Fu il testo del debutto che raccoglieva sparse pagine giornalistiche, e che ne fece un autore di successo suo malgrado. Quella Romagna era cara anche a Max David (1908-1980), grande penna romagnola del “Corriere della Sera”, il quale una volta raccontò la tragedia avvenuta in un cantiere, con un muratore che precipita dall'armatura e che, certo della sua fine, urla ai compagni di lavoro: “Zivil e sla banda”, civile e con la banda, ovviamente il funerale.
A questi uomini lontani dagli altari ma vicini al suo cuore, don Franzchin ha dedicato se stesso e pagine che sono da antologia della migliore letteratura del nostro Novecento, per quello stile originale, fatto di purezza nelle parole che rispecchiava quella della vita quotidiana. Era nato nel 1914 a San Biagio di Argenta, era stato parroco di Porto Fuori a Ravenna dal 1945 al 1982. Nel suo cuore c'era l'umanità, non c'erano distinzioni teologiche o politiche. Guardava tutti e tutto con l'occhio umile e maestoso del Vangelo che lui visse ed applicò con la serenità di chi possiede il dono di rendere facile il difficile, e di considerare la vita comune la più bella e solida enciclica che si possa scrivere sulla terra pensando al Cielo.
In "Vita da cani e da preti", libro uscito quando aveva appena compiuto 81 anni, la sua penna zampilla con la grazia di una fontanina di paese. La foto della copertina svela il segreto del titolo e del volume, una recita a due voci, il prete e il suo cane Pirro, immortalato grazie a lui, come testimonia il titolo del libro fresco di Gàbici e la sua bella foto di copertina (ormai un classico del genere biografico).
Una pagina ricordava l'udienza in Vaticano con papa Wojtila che gli dice: "Figliolo, ho letto il tuo libro e ho speso molto tempo perché certe parole non le ho trovate nel dizionario". Padre Rotondi spiega: "Per forza, Santità, il prete scrive in dialetto romagnolo". E don Francesco aggiunge: "Sento il vescovo sulla mia mancina che parla al segretario: 'Guarda quel prete lì. Guardalo bene. Con quella faccia da balordo, ha scritto pagine che tengono il chiodo'".
La lingua di don Francesco è quella del Cristianesimo tradotto nel romagnolo più schietto. Fuschini entra in trattoria, gli sparano mitragliate fatte di: canaglia, ingarbuglione, ciabatta smessa, "e avanti con furore e fantasia". Pure lui non si trattiene: "Che il boccone vi strangoli, bardasse", mentre "tra le tavolate, prorompe la furia affettuosa per l'accapparamento del prete" che dice: "Credo in Dio e credo nell'uomo". Infatti aggiunge: "Rivedo la finestrina del campanile dove gli anarchici poggiavano il dono clandestino del vino nuovo. 'Bevessi veleno, pritazz', ma il cuore va per i suoi sentieri e non lo ferma nessuno".
Poi ci sono le pagine dove trovi anche le creature più piccole dell'universo, tra quei silenzi da meriggiare montaliano, che don Francesco interpreta alla luce della Bibbia che cita di tanto in tanto senza spocchia, ma con la consueta semplicità, per dirti: guarda che sta già tutto scritto, e spiegato. Infatti, niente di nuovo è sotto il sole. In altri libri, don Fuschini racconta delle formiche che incontrava camminando, e scansava per rispettare ogni forma vivente della natura. Scusate un ricordo personale: una volta stavo leggendo antichi studi biologici, quando sulla scrivania mi ha visitato un ragnetto da mezzo millimetro che mi ha fatto pensare alle formiche di don Francesco, e ho detto, al ragno: vai più in là, che giro pagina, e per te è come una bufera. L'ho aiutato a mettersi in salvo. Sovente mi sento come quel ragno. Leggo don Francesco: "Mali e malanni ci piovono addosso senza cercarli [...] e gente sfegatata chiama in servizio la guerra". Sàlom.
Gàbici ha ricostruito con intelligente passione tutte le tappe di una vita che, sostenuta dallo spirito della Fede, ha avuto momenti duri da superare. Come quando fa la staffetta partigiana correndo alla volta di Faenza dove nella chiesa dei Cappuccini lo attende, inginocchiato all'altar maggiore, Benigno Zaccagnini, “raggiunto dopo un momento da don Francesco che fra una giaculatoria e l'altra si mise ad armeggiare con le scarpe”. Dove aveva nascosto il messaggio cifrato dei Gap. O come quando, da “conservatore tenace”, scrive quello che Gàbici chiama “uno straordinario corsivo che riassume tutta la sua teologia”: “Non può entrare la paura del rinnovamento conciliare, giacché la novità cammina sempre con la vita quand'è nello Spirito Santo e non nel volubile tumulto della moda”. E la letteratura del prete di San Biagio resta aldilà di ogni moda.
Antonio Montanari

["il Ponte", Rimini, n. 25, 01.07.2012]

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26 juin 2012 2 26 /06 /juin /2012 17:04

Al Liceo Classico la versione di greco per la Maturità ha proposto un Aristotele inconsueto. Non quello solitamente studiato in Filosofia, come l'inizio del libro V della “Politica”, molto attuale per italiani ed europei: “Bisogna indagare quali sono le cause per cui le costituzioni mutano”, e in che modo vanno in rovina.
Nutriamoci di citazioni sull'argomento. Vent'anni fa, “mani pulite”. Giuliano Ferrara elogia il magistrato Di Pietro, definendo provvidenziale la sua azione. Poi cambia parere. Il presidente del Senato di allora anticipa Grillo: “I partiti debbono retrocedere ed alzare le mani”, ormai sono in agonia, non debbono resistere alla volontà popolare.
Anche Grillo ha mutato idea. Non conta la volontà popolare, conta ciò che decide lui. Nessun altro deve intromettersi. Ha cacciato Valentino Tavolazzi perché si è riunito con alcuni dei grillini eletti alle amministrative, tra cui il sindaco di Parma Federico Pizzarotti che avrebbe voluto Tavolazzi a dirigere il suo Comune. Pizzarotti è stato costretto ad una prima marcia indietro.
La seconda è avvenuta la settimana scorsa, quando ha provato lo stesso panico che i giornali attribuivano agli studenti del Classico per quell'Aristotele. Parma cotta e condita da una lettera ad un quotidiano locale, ha così saputo che il futuro assessore ad Urbanistica ed altro, aveva alle spalle il fallimento di una società per cui “tante famiglie ancora oggi piangono per aver perduto quanto avevano investito con immensi sacrifici”. L'assessore più breve di Parma, è stato definito: per autocombustione 24 ore prima della cerimonia.
Pizzarotti si è giustificato: la nomina ufficiale non era ancora avvenuta. C'era stata soltanto la promessa confidenziale, una presa del consenso. La sua smentita è illuminante. Pizzarotti dimostra felicemente che il mestiere di politico lo imparano subito anche quelli del “movimento oracolare”. Usa il linguaggio classico di chi è seduto in una poltrona pubblica: le presunte dimissioni dell'assessore non ancora nominato, per lui dimostrano che il sistema è valido. Come al solito, tutto va bene.
Per Massimo Gramellini (La Stampa), “In questo Paese di moralisti verbali, tutti sembrano custodire uno scheletro nell'armadio”. Beppe Severgnini (Sette) aveva previsto: “La Grillocrazia senza democrazia”. Stupendo Aldo Grasso (CorSera): ”L'incertosa di Parma. Pizzarotti ha inventato la politica che non si muove”, dopo un mese non ha completato la Giunta. [Anno XXXI, n. 1087]

Antonio Montanari
(c) RIPRODUZIONE RISERVATA

"il Ponte", settimanale, Rimini, 1.7.2012

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